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Perché mio figlio non si staccherebbe mai dai video games e dagli smartphone?

Nella difficoltà di gestire la relazione tra i figli e la tecnologia, spesso i genitori leggono un problema di salute e usano la parola "dipendenza". Ma un lessico di questo genere usato a sproposito rischia di aumentare il divario tra adulti e ragazzi. Ecco qualche consiglio tratto da "Il metodo per crescere i bambini in un mondo digitale" di Jordan Shapiro

Non sai come convincere i tuoi figli a staccarsi dal loro smartphone per dedicarsi ad altre attività? È sempre una lotta riunire tutti a tavola al momento della cena? Per questo motivo, sei tentato di parlare - o parli - dei video games con gli stessi termini con cui ti riferisci a tabacco, alcool e droghe? Per superare queste difficoltà, sarebbe meglio esprimersi in un altro modo. Pensa, infatti, per un momento a come devono sentirsi i tuoi figli. Il termine "dipendenza" è un peggiorativo gratuito. Questo atteggiamento di noi adulti può rivelarsi dannoso, poiché rischia di seminare nei ragazzi una serie di ansie e di sensi di colpa.


I ragazzi non sono dipendenti dai device, li usano perché questi strumenti infondono loro un senso di sicurezza e conforto. I device custodiscono la loro memoria e il loro senso di identità, espresso attraverso social media quali Instagram. Device e gaming sono oggetti transizionali, come i tradizionali peluche che accompagnano i più piccoli, e aiutano a gestire i diversi spazi e momenti della giornata.


Gli spazi sono, ad esempio, quelli di trasferimento: i mezzi di trasporto pubblici e privati, ma anche i luoghi di attesa come gli studi medici o gli uffici pubblici. I momenti della giornata sono quelli di passaggio da una dimensione personale a una scolastica o professionale, quindi soprattutto la mattina e il tardo pomeriggio. Alla fine della giornata di scuola o lavorativa, abbiamo tutti bisogno di staccare la spina ed entrare in una dimensione di vita più personale. Il gioco solitario, al rientro a casa da scuola, è un modo per i ragazzi di entrare nello spazio famigliare.


La sociologa Mildred Partner Newhall ha definito “gioco in parallelo” (parallel play), l’attività ludica a fianco dei coetanei senza interazione diretta. Ad esempio i bambini molto piccoli in queste situazioni giocano separatamente, ma sono consapevoli di condividere uno spazio comune e si imitano. Il gioco in parallelo oggi è una strategia per gestire lo stress dello spostamento da un momento della giornata (es. scuola) all’altro (es. rientro a casa).

In quei momenti, dietro agli schermi i ragazzi elaborano ciò che sentono dentro di loro, le emozioni, con ciò che accade fuori di loro.


Non dimentichiamo che tra le tante cose da imparare, le giovani generazioni devono gestire 2 mondi: una dimensione offline e una dimensione online. Se noi adulti proviamo ad accantonare per un momento ansie e preoccupazioni, forse possiamo lasciare spazio alla curiosità per le emozioni e i vissuti dei ragazzi. È nell’ascolto che possiamo trovare le risposte che cerchiamo.

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